Franco Pedrina

Gianni Cavazzini

Vigne e tronchi sono i temi sui quali Franco Pedrina indaga ormai da lungo tempo con una continuità e una tensione che testimoniano la qualità del rapporto a contatto di respiro, di una partecipazione profonda agli eventi della realtà di natura. In questi anni di lavoro intenso Pedrina ha costruito con gradualità il suo discorso d’immagine, attento a non determinare fratture lungo il percorso della sua evoluzione stilistica, teso a individuare i segni di un autonomo linguaggio figurativo.
Per un certo periodo della sua ricerca Pedrina ha privilegiato in maniera esplicita i problemi della struttura, portando a conclusione una serie di quadri organizzati su linee di forza essenziali e ben coordinate. Su queste premesse si è delineato un secondo processo in dimensione spaziale, rivolto a conseguire esiti plastici di scandita efficacia pittorica.
La mostra qui riunita coglie Pedrina ad una svolta significativa della sua esperienza: da un lato i risultati compiuti di una lunga ricognizione sul tessuto di natura, dall’altro la comparsa della figura come nuovo, e istigante, emblema di immagine.
Il mondo vegetativo, e in modo particolare alcuni frammenti simbolici di una condizione biologica che si tramuta sotto le apparenze dell’immediata urgenza visiva, si configura in una spazialità rarefatta e non più vincolata in superficie agli schemi della struttura compositiva.
Ad una pittura articolata sui richiami di un’idea centrale si è sostituita una visione più flessibile, declinata su clausole formali di fluida eleganza.
Si avverte sempre, in questi quadri, la sostanza di una natura penetrata nel profondo delle sue fibre e si riconosce ancora nel gesto di Pedrina una inquieta e vibrante sensibilità verso la realtà fisica delle sue vigne, dei suoi ceppi.
Ma questi elementi primari si scambiano ora forme e aspetti, giungendo a reciproche metamorfosi, a concretarsi nell’autonomia di un’immagine posseduta nella sua totalità poetica.
Gli elementi naturali sono così presenti, nelle ultime opere, no in una formulazione fenomenica esterna ma in una vitalità luminosa che traspira per vie interne, in una felicità di accordi evocativi che è il segno di una tersa e conchiusa visione pittorica. La sensibilità cromatica di Pedrina ha raggiunto un grado di profonda sottigliezza e perviene a restituire in una dimensione unitaria sia la densità della realtà vegetativa, sia le trasparenza luminosa dell’atmosfera. Al di là della barriera di tralci e di uve, al di là del profilo corroso delle ceppaie si intuisce una spazialità mobile e allusiva, percorsa da brividi inquieti.
La figura, infine, è la novità della mostra. Una figura che Pedrina inserisce nell’alveo del suo discorso d’immagine con la determinazione che ha fin qui distinto il suo itinerario espressivo. Sono gli inizi di un processo che tende a restituire in una presenza sensitiva la realtà moderna del nudo femminile. Ed è così che la figura viene proiettata in primo piano, in pose non accademiche e invece funzionali alle urgenze del linguaggio. Presenze che già si traducono in scampoli di intensa e vibrante pittura.

(Presentazione nel catalogo della mostra, Galleria Correggio, Parma, novembre 1978)

 

 

 


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